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Accordo tra le famiglie mafiose, rapiti i figli del boss Alfiero per evitare il suo pentimento

Boss del calibro di Francesco Schiavone, Francesco Bidognetti e Michele Zagaria in carcere. Un esponente di primo livello come Antonio Iovine che decide di collaborare con i magistrati. Sequestri ingentissimi di beni che determinano un duro contraccolpo economico. Gli smacchi subiti negli ultimi anni dal clan dei Casalesi avrebbero dovuto decretarne il tramonto definitivo, invece l’organizzazione e’ rinata su basi nuove, ricompattandosi attraverso un sistema di alleanze e di ripartizione degli ‘utili” che ne ha assicurato la sopravvivenza. E’ questo che raccontano le carte dell’operazione dei carabinieri del Ros che ha portato oggi all’esecuzione di 19 ordinanze di custodia (parte delle quali notificate a persone gia’ detenute), nei confronti di boss e gregari della cosca.   I reati contestati a vario titolo sono associazione di tipo mafioso finalizzata a commettere una pluralita’ di reati tra i quali estorsioni, sequestro di persona, detenzione e porto illegale di armi, per episodi avvenuti in un arco di tempo che va dal giugno 2012 al maggio 2013. L’indagine ha svelato un accordo tra tre famiglie del clan dei Casalesi che si sono consorziate dopo l’arresto dei boss, per gestire in armonia gli affari illeciti e in particolare dividere equamente i proventi di estorsioni e tangenti sugli appalti. E’ questa la contestazione principale dei provvedimenti emessi nell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e il pm della Dda Catello Maresca. Continua la lettura di Accordo tra le famiglie mafiose, rapiti i figli del boss Alfiero per evitare il suo pentimento

Show in aula di Giuseppe Setola, “ho sognato Papa Wojtyla e mi ha detto pentiti”

“Ho sognato Papa Wojtyla e mi ha detto: pentiti”. Parola di Giuseppe Setola, il capo dell’ala stragista dei casalesi, autore reo-confesso di 46 omicidi. Al processo per l’omicidio dell’imprenditore Domenico Noviello, ucciso il 16 maggio del 2008 per aver denunciato gli estorsori del clan, il killer parla da “aspirante collaboratore di giustizia”. Non e’ ancora un pentito, come specifica il presidente della Corte d’Assise davanti al quale pende il processo Maria Alaia. “Setola – spiega – e’ un imputato che sta facendo dichiarazioni la cui attendibilita’ andra’ valutata”. Il pm della Dda di Napoli Alessandro Milita lo ha sentito per la prima volta sabato 12 ottobre. E oggi Milita ha depositato il verbale del primo interrogatorio: appena due paginette sull’omicidio Noviello e altre, poche, su argomenti “omissati”. In aula sono presenti i quattro figli dell’imprenditore, tra cui Mimma Noviello, che si sfoga indignata prima che inizi l’esame: “Sono qui a testimoniare che non deve passare il messaggio che con scuse e pentimenti annunciati si possano cancellare 46 omicidi. Finiamola con il ‘Setola show'”. “Non ce la faccio piu’ con questa malavita – dice in aula il killer – mi voglio fare tutti i sette ergastoli e voglio chiedere scusa ai Noviello. Una persona che denuncia come fece Domenico Noviello fa bene. Ho deciso di collaborare con la giustizia per dare una svolta alla mia vita ed a quella della mia famiglia”. Continua la lettura di Show in aula di Giuseppe Setola, “ho sognato Papa Wojtyla e mi ha detto pentiti”

“Giovà, la malavita è finita”, il superkiller Setola si pente in aula. Il pm Milita: “non sono minimamente sorpreso”

“Dottor Milita, io ci vedo benissimo. Da oggi voglio fare il collaboratore di giustizia. Mandatemi a prendere. Mettete in salvo la mia famiglia altrimenti i Bidognetti li uccidono. Dottore venga da me gia’ questa sera e le diro’ tutto. Mi dispiace per Casal di Principe”. Nell’udienza di mercoledì scorso, il primo di ottobre, lo aveva escluso. “Fino a poco fa volevo fare una scelta collaborativa – disse – ma mi sono tirato indietro perche’ avrei dovuto accusare tutta Casal di Principe”. Giuseppe Setola, l’uomo che per fuggire al carcere duro si finse cieco nel 2008, inaugurando una stagione ‘del terrore’ nel Casertano per conto del gruppo Bidognetti dei Casalesi, collegato dal carcere di Opera all’aula del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il processo sull’omicidio dell’imprenditore Domenico Noviello, che anziche’ pagare il ‘pizzo’ denunciò la cosca, ha piu’ volte fatto dichiarazioni da colpo di teatro. La cautela con cui i pm della Direzione antimafia di Napoli accolgono le sue richieste nasce anche da precedenti incontri con il capo dell’alla stragista dei Casalesi. Uno lo raccontava anche lui al collegio giudicante sempre una settimana fa: “venne da me il procuratore Conzo gli dissi le stesse cose che sto dicendo qua (si sta accusando di 46 omicidi, ndr.) ma mi disse che sono pazzo”. E il 17 settembre, alla ripresa delle udienze del processo che si avviava alla conclusione, tra lo stupore generale, aveva revocato il mandato difensivo al suo legale ‘storico’, Alberto Martucci, scegliendo Lucia Annibali, l’avvocato sfregiato dall’acido su mandato del suo ex fidanzato ora condannato. Continua la lettura di “Giovà, la malavita è finita”, il superkiller Setola si pente in aula. Il pm Milita: “non sono minimamente sorpreso”

L’odio razziale dietro la strage dei sette africani sulla Domiziana

Il commando dei casalesi responsabile della “strage di San Gennaro” incompiuta del 18 agosto 2008, nella quale a Castel Volturno scamparono miracolosamente alla morte rimanendo feriti cinque nigeriani, e dell’eccidio nel quale un mese dopo, il 18 settembre, vennero uccisi sei ghanesi – bilancio poi salito a sette per la morte di un sopravvissuto – agì con “elevatissima aggressività” senza curarsi della incolumità di nessuno e animato da “evidente avversione e chiaro disprezzo per le persone di colore”. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni di conferma delle condanne per i cinque killer imputati depositate il 16 maggio e relative all’udienza del 30 gennaio. I casalesi avevano deciso di far pagare il pizzo ai pusher africani, e come prima cosa avevano preso di mira una associazione di nigeriani che si batteva per la legalità in contatto con le forze dell’ordine. Le armi si incepparono e la mattanza si bloccò. Il mese dopo – ha raccontato il ‘pentito’ Oreste Spagnuolo, presente ai blitz – “visto che i nigeriani non avevano capito da chi fosse partita la spedizione punitiva”, era stato organizzato “un altro raid presso la sartoria sulla statale Domitiana dove erano solite radunarsi persone di colore”. Il gruppo del Setola travestito con l’uniforme dei carabinieri e fingendo un controllo sparò con quattro pistole, due kalashnikov e una mitragliatrice. Oltre a rendere definitivo l’ergastolo per il capo dell’ala stragista Giuseppe Setola (44 anni), per Alessandro Cirillo (38), per Giovanni Letizia (34) e per Davide Granato (39), la Prima sezione penale della Suprema Corte ha anche confermato l’aumento di pena inflitto in appello a Antonio Alluce (42 anni) che deve scontare 28 anni e sei mesi (23 anni in primo grado). Continua la lettura di L’odio razziale dietro la strage dei sette africani sulla Domiziana