In gabbia il vivandiere di Michele zagaria

I mafiosi made in Casal di Principe sono attivi sul territorio più che mai. Chi vorrebbe l’Agro aversano libero, sgombro dai tentacoli della piova casalese ha ancora da attendere e chissà per quanto. “Eppur si move”. Qualcosa sotto le ceneri del focarazzo dello strapotere canceroso del Male c’è ancora e si dimena. A fatica ma c’è. Perché purtroppo i legami con le vecchie famiglie di riferimento sono indistruttibili. Non servono più i patti e i giuramenti sui santini. Pur di mantenere il controllo della propria zona di riferimento si fanno patti anche con chi si mostra fragile: la maglia è così spessa ma intricata dei loschi affari che ogni tanto si rinuncia a qualcosa, il necessario è non abbandonare o lasciare le mani dello Stato gli affari almeno quelli più grossi e redditizi. A Gomorra altro che agenzia interinale o centro per l’impiego. Quando una famiglia ha bisogno di una mano c’è chi sopperisce ai bisogni. C’è chi mette a disposizione soldi e know-how ed il gioco è fatto. In quella fredda mattina del 7 dicembre del 2011 lui c’era. Fu ripreso più volte dagli smartphone degli investigatori che alla nottata gli avevano messo casa sottosopra. Era di una calma serafica che appartiene a chi è sicuro di sé. Non ha titubato o sembrato stravolto quando la Polizia di Stato stanò al capo dei capi di Casapesenna. “Non mi sono tolto nessun pensiero…non è armato, non c’è bisogno di fare macello, non ha niente, non ha niente”. A proferire queste poche parole davanti ad un cellulare di uno degli uomini della Squadra Mobile di Napoli in quella mattina indimenticabile di otto anni fa fu Vincenzo Inquieto. Agli occhi del paese un semplicissimo capofamiglia che di mestiere faceva l’idraulico, il piccolo appaltatore nel campo dell’edilizia. Invece per gli uomini fidati di Michele Zagaria era Enzo o’tubbist. L’idraulico appunto. Lo conoscevano tutti a Casapesenna. Gli uomini più fidati del clan di capastorta. Massimiliano Caterino, Generoso Restina, Attilio Pellegrino, Antonio Iovine, i Fontana, i Piccolo. Era una persona nota. Era uno che si era sempre arrangiato nella sua vita. Aveva campato di espedienti, stando ai racconti dei collaboratori di Giustizia. Lui come l’intera sua famiglia di origine. Il capoclan si fidava di lui e della moglie. I figli, Luigi e Daniela chiamavano alla primula rossa di Casapesenna “zio”. Zagaria durante i summit con gli affiliati era arrivato a dire che gli Inquieto “questi sono roba mia”. E chi poteva pensare di toccarli? Enzuccio il tubista aveva qualcosa che altri non avevano. O meglio tutti avevano una moglie, ma non speciale come lui. Rosaria Massa conosceva tutte le abitudini dell’ospite. La vivandiera la sapeva fare. Aveva deciso lei di proteggere a fuga e la latitanza di Michele Zagaria. La “bionda” annotava e fotografava tutto, anche chi era impegnato in semplici lavori stradali per le strade del paese. Alla maestra di danza casapesennese di adozione non sfuggiva nulla. Perché aveva compreso bene con chi s’era ammogliata e soprattutto cosa significasse godere dei benefici di ospitare in casa il capo, il boss, lo zio Michele, che per gli Inquieto tanto aveva fatto da uccello di bosco e ha continuato a fare anche dopo la sua cattura. Durante un’intercettazione ambientale del maggio 2017 Rosaria che sognava di diventare ballerina parla con sua sorella Maria: “qua si deve andare a trovare la fatica… quando stava qua a lavorare che la gente mi chiamavano a me … doveva venire stamattina e si è dimenticato quante figure di merda abbiamo fatto”. Sì, perché nel frattempo, dopo una condanna espiata per favoreggiamento, il tubista trova riparo dal fratello Nicola nella terra di Dracula. Il re di Pitesti per le sue attività imprenditoriali in terra di Dacia lo retribuiva con millecinquecentoeuro mensili. Intanto a fine ottobre per Vincenzo Inquieto si sono aperte le porte del carcere. Il Gip che ne ha disposto gli arresti è chiaro: “le attuali disponibilità economiche degli Inquieto erano, dunque, il frutto degli investimenti di Zagaria”. Intanto, e non è la prima volta, che dai verbali dei pentiti vengono descritti scenari sull’impresa mafiosa: “posso riferire del sistema adottato da Michele Zagaria nei confronti delle società e delle attività imprenditoriali che lui controllava e che funzionava in questo modo: Michele Zagaria era un vero e proprio socio occulto che finanziava” – Parola di Gerry Restina.