Una tempesta giudiziaria travolge la famiglia del deputato Luigi Cesaro alias polpetta

“La scelta del clan è stata quella di affidarsi a imprenditori non organici ma che potevano avere entrature, contiguità e agganci con la politica, che a sua volta poteva agevolare l’aggiudicazione e la realizzazione dell’appalto, come puntualmente è avvenuto”, ha spiegato il procuratore facente funzioni di Napoli, Nunzio Fragliasso. I fratelli Cesaro di Sant’Antimo hanno avuto sempre il fiuto per gli affari. Dal settore edilizio a quello sanitario, passando per quello immobiliare e sportivo. Agganci politico-amministrativi a tutti i livelli istituzionali, dal livello locale al Parlamento dove siede, sopito tra i banchi di Forza Italia, Luigi Cesaro alias “polpetta”. Colpiti nel tempo da diversi provvedimenti giudiziari, il 24 maggio scorso sono finiti al gabbio gli imprenditori Aniello e Raffaele Cesaro, fratelli del deputato di Fi ed ex presidente della Provincia di Napoli. I fratelli Cesaro sono stati arrestati nell’inchiesta sulle infiltrazioni del clan Polverino negli investimenti da 40 milioni di euro per il piano di insediamento produttivo del Comune di Marano. Sono state cinque complessivamente le ordinanze di custodia eseguite dai carabinieri del Ros nelle quali il gip, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, contesta i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio, minaccia e falsità materiale e ideologica commessa da pubblico ufficiale, reati aggravati dalle finalità mafiose. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati anche beni per un valore di 70 milioni di euro. Una indagine – coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai pm Mariella Di Mauro e Giuseppe Visone – concentrata sulle attività della organizzazione egemone nell’area nord occidentale di Napoli. Per gli inquirenti si è realizzato un patto tra il clan e i fratelli imprenditori funzionale all’aggiudicazione dell’appalto attraverso intimidazioni e reimpiego delle risorse economiche provenienti dai traffici illeciti della cosca. I fratelli Cesaro, secondo l’accusa, erano in società con esponenti di vertice dei Polverino ed in virtù di questo accordo, avrebbero imposto varianti, nomine, intimidito proprietari dei terreni, predisposto mediante professionisti atti e certificazioni false. Si avvalevano – raccontano le carte dell’inchiesta – delle condizioni di forza derivanti dal patto con il clan e applicavano il potere intimidatorio in ogni fase dell’iter amministrativo-procedurale nella realizzazione del Piano, dove sono finiti i soldi, riciclati, del clan Polverino. Presunte inadempienze determinarono nel dicembre 2016 il sequestro delle opere di urbanizzazione: gli inquirenti ravvisarono un pericolo per l’incolumità pubblica dovuto al mancato collaudo e alla pessima esecuzione delle opere della rete fognaria, idrica ed elettrica. Dalle carte emerge un coinvolgimento a tutti i livelli, dai politici al servizio dell’imprenditoria, passando per i tecnici compiacenti: “l’ingegnere Pitocchi è uno dei soggetti che con la loro illecita condotta ha contribuito alla realizzazione della speculazione immobiliare del PIP di Marano. Il ruolo del pubblico funzionario sarà quello di sbloccare il rilascio dei permessi per costruire aventi ad oggetto i capannoni che sarebbero poi stati venduti garantendo lauti guadagni al cartello imprenditorial-criminale Cesaro-Polverino”.
 Quella dell’Area PIP di Marano non è la prima inchiesta dell’Antimafia partenopea che vede protagonisti i fratelli Cesaro. A novembre sono stati rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Napoli, assieme a numerosi papaveri della politica luscianese per concorso esterno in associazione mafiosa e per aver “pilotato” la gara d’appalto per la costruzione di alcune strutture nell’ex zona Pip a Lusciano. I fratelli Cesaro, compreso Luigi, finirono sotto inchiesta quando fu chiesto dalla Procura l’arresto di ex politici, funzionari ed ex amministratori di Lusciano. Per il deputato, però, fu successivamente chiesta e ottenuta l’archiviazione. Le indagini si avvalsero anche delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Luigi Guida, che ricoprì anche il ruolo di capo della fazione Bidognetti del clan dei casalesi.