Ditte contigue ai “casalesi” nell’affare della ricostruzione post sisma de L’Aquila

Nella zona del casertano c’è la migliore manodopera in campo edilizio. Questa è una cosa notoria ed accertata. Manodopera che dall’Agro Aversano veniva regolarmente assunta da ditte aquilane o campane per lavorare in cantieri di ricostruzione privata post-sisma attraverso l’intermediazione di altri costruttori campani incensurati ma contigui al clan dei “Casalesi”, i Di Tella. Lo stipendio veniva pagato con buste paga regolari, ma la metà rientrava in contanti a costituire un tesoretto di fondi neri per il gruppo campano. Questo, secondo quanto emerso in conferenza stampa, il “sistema” portato alla luce dall’inchiesta “Dirty job” della Procura distrettuale antimafia abruzzese, che attraverso le indagini della Guardia di finanza ha portato a 7 arresti di imprenditori, aquilani, che hanno fatto affari con la camorra, anche se indirettamente. “Acquisivano quante piu’ commesse possibili a prescindere della loro capacita’ tecniche e di organico – ha spiegato il sostituto procuratore David ManciniSi affidavano alle imprese dei Di Tella che reperivano manodopera solo a Casapesenna e Casal di Principe”. I Di Tella “portavano e alloggiavano all’Aquila quei lavoratori, li facevano assumere dagli imprenditori aquilani, che alla fine emettevano una busta paga con importi corretti, ma poi la offrivano ai Di Tella che gestivano una contabilita’ separata e occulta”. Infatti, ha aggiunto Mancini, “dopo aver percepito l’importo il lavoratore restituiva la meta’ dello stipendio con prelievi bancomat. Non avveniva attraverso la violenza – ha chiarito – ma con intimidazione ambientale diffusa, in qualche caso con alzata di toni a ricordare anche gli obblighi condivisi dalla provenienza geografica”. Il bottino tornava ai Di Tella, ma il giochetto “consentiva comunque di garantirsi un 30% agli aquilani, anche se poi in quei cantieri non ci mettevano le mani”, ha sottolineato ancora Mancini. Di norma gli operai venivano assunti dai Di Tella, a volte anche dagli arrestati ai domiciliari Elio Gizzi, Marino Serpetti  e Michele Bianchini. Dalle carte emerge anche la vicinanza dei Di Tella agli aquilani, sono stati anche assunti da Gizzi. Gli operai venivano pagati a giornata e non a ore come invece previsto dalle norme. Secondo quanto si è appreso, c’è stato il contributo di un collaboratore di giustizia che ha sottolineato i rapporti tra Alfonso Di Tella e il clan del superboss Michele Zagaria e altri casalesi. Per il procuratore distrettuale antimafia, Fausto Cardella, “questa indagine fotografa la situazione di un tipo di infiltrazione, quella del clan dei Casalesi, di cui da oggi potremo parlare con piu’ cognizione di causa. Inoltre e’ un’indagine che valorizza i rapporti tra le procure distrettuali e quella nazionale. Senza la banca dati non sarebbe stato possibile realizzarla in questo modo”. Intanto spuntano altri tre indagati a piede libero nell’inchiesta. Giuseppe Santoro, 45 anni, di San Cipriano D’Aversa (Caserta), Francesco Ponziani, 44, nato in Svizzera ma residente nella frazione aquilana di Paganica, Emiliana Centi, nata all’Aquila ma domiciliata a Paganica. “Credo che bisognerebbe intervenire con interventi legislativi piu’ incisivi e soprattutto piu’ vincolanti”. Cosi’ il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti rispondendo alla domanda dei cronisti se sia necessario cambiare le regole della ricostruzione privata post-sisma alla luce dell’inchiesta che ha portato a 7 arresti per infiltrazioni dei Casalesi. Il sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia Diana De Martino ha ricordato la genesi dell’attuale quadro normativo. “Si e’ detto che non era possibile attivare l’interdittiva antimafia per tutti i 5 mila cantieri della ricostruzione privata e creare barriere – ha spiegato – quindi sono state emanate linee guida, di per se’ di carattere non vincolante, come la tracciabilita’ dei flussi finanziari, la clausola di rescissione per i proprietari, le white list di ditte certificate che, pero’, sono risultate molto scarsamente popolate. La metodologia degli indagati difficilmente sarebbe potuta incappare in questo tipo di controlli”, ha ammesso. “Ciò che emerge dalle indagini sulla ricostruzione a L’Aquila è un quadro allarmante di contiguità con la camorra”, lo ha dichiarato Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, spiegando: “se da un lato si conferma che le mafie mettono radici anche in Abruzzo dall’altro emerge il ruolo nuovo di una imprenditoria locale che non è più vittima delle organizzazioni criminali ma si fa interprete essa stessa di comportamenti tipicamente mafiosi”. “È un cambiamento – avverte Bindi – che si registra anche altrove e che deve far riflettere sull`adeguatezza degli strumenti di contrasto di una illegalità che investe la cosiddetta zona grigia in cui l`omertà della convenienza sta sostituendo l`omertà della violenza”. Secondo il presidente della Commissione antimafia “occorre affiancare all`ottimo lavoro degli inquirenti, in questo caso del Gico della GdF e della Dda dell`Aquila, una più forte vigilanza delle istituzioni e della politica”. E “non è più rinviabile, soprattutto per la città dell`Aquila una attenta valutazione dell`adeguatezza delle norme sia quelle sulla ricostruzione che quelle relative agli appalti pubblici”. Nel prossimo Ufficio di presidenza Rosy Bindi quindi annuncia “proporrò una missione della Commissione Antimafia in Abruzzo e la costituzione di un gruppo di lavoro che si concentri sulla presenza delle mafie a Roma e nell`Italia centrale, che non si può più sottovalutare”.