Michele Zagaria e fiction nella terra abitata da diavoli

Una rondine non fa primavera, recita un vecchio adagio. Dipende dalla rondine, aggiungerei. Campania felix trasformata in un paese abitato da diavoli. Una terra fertile, rigogliosa, ricca di bellezze artistiche e naturali ridotta a brandelli. È questa oggi la terra del famigerato clan dei casalesi. Sete di potere, comando, piombo, sangue, cemento, movimento terra, appalti. Di chi è la colpa? Certamente chi aveva gli strumenti per contrastare il Male si è rivelato un dilettante, probabilmente è stato complice, chiuso nel suo sibillino silenzio. Al massimo è restato a guardare uno spettacolo macabro e ha consentito tutto questo. Con il soporifero assenso di un popolo colluso e corrotto, tranne pochissime e rare eccezioni. È normale chiedersi come sia stato possibile che un uomo resta latitante per più di quindici anni. Restando vivo e vegeto nel suo paesello di origine, controllando tutto, avendo sempre l’ultima parola. Girando indisturbato, accompagnato dai fidi uomini, con la sola paura di perdere il controllo dei suoi affari. Sì, affari, dal cemento alla monnezza, passando per gli appalti pubblici, il vero Re di Gomorra. Tutto progettato e nei minimi particolari scandagliato e gestito. Sapeva che gli uomini si comprano e si vendono per soldi. Tutto ha un prezzo. Si è anche recato all’estero per le vacanze con i suoi vivandieri e con i compagni di avventure criminali di vecchia data. Il capo dei capi Michele Zagaria per tutti capastorta è oggi nella sua cella del carcere di Opera. Freddo e lucido affronta i suoi innumerevoli guai giudiziari con estrema facilità e con la freddezza di uno che ha sempre saputo ciò cui andava incontro. Un capo non deve mostrare le sue debolezze. Mai. Non si è mai fatto mancare nulla nel suo soggiorno nell’Agro aversano durante l’aurea latitanza. Dai soldi liquidi ai lingotti di oro. Non ha mai contato realmente sugli uomini, ancor di più su quelli del suo esercito del male. Sapeva che da un giorno all’altro la sua solitaria “fuga” sarebbe terminata. Era consapevole e certo. Attento e ipertecnologico, ha sempre curato l’aspetto fisico e la mise, è stato un capo che ha charme, è uno che c’ha sempre saputo fare. Le donne hanno avuto un ruolo importante nella sua vita. Fin da ragazzo. Non si è mai sposato, non ha eredi diretti, almeno ufficiali. Il suo carattere intemperante di dominio ha sempre allontanato gli amori della sua vita. Le donne della sua famiglia sono state sempre il vero faro, tutto il resto mero desiderio naturale da soddisfare. Il rais di Casapesenna amava la sua terra, non l’ha mai abbandonata. Ha sfidato sempre tutti, dai capi storici indigeni a quelli vesuviani, è un padrino intelligente, perspicace, sicuro di sé, si è sempre definito un imprenditore, del male chiaramente. Dava fastidio, sapeva di non avere contendenti all’altezza dei suoi sporchi business, filava dritto e amava “trattare” direttamente con l’imprenditoria al suo soldo. È stato un uomo violento e sanguinario, non si è mai allineato. Sempre fermo sulle sue posizioni, se qualcuno lo obiettava faceva una brutta fine.  “Sotto copertura – la cattura di Zagaria” la nuova fiction della Rai è iniziata lunedì scorso. L’ho vista in differita e mi sono goduto uno spettacolo ottimo per i salotti e il topore autunnale. Volevo godermi le strade battute un tempo giorno e notte da Zagaria. Casapesenna era spettrale. Solo qualche immigrato per strada, tutti incollati alla tv a vedere la rappresentazione cinematografica del ras. La maggior parte della cittadinanza sapeva dov’era capastorta durante la sua fuga dalle maglie della Giustizia. Ricordo le sagome degli uomini scuri in volto che sostavano fuori via Mascagni ad aspettare l’ultimo passaggio del capo per le strade cittadine. Un clima di funerale. La polizia era riuscita a stanarlo a casa sua. I giornalisti di mezzo mondo a riprendere il momento dell’uscita dal bunker. “Lo Stato vince sempre dottò” furono le sue prime parole rivolte al giovane pubblico ministero Catello Maresca che si precipitò nella villa che aveva custodito capastorta. Quella fredda mattina di dicembre del 2011 c’era il sole, sembrava una giornata primaverile. Mancavano solo le rondini.