Nella terra del famigerato clan dei casalesi anche i morti e i feriti sono fonte di guadagno. E il giro di affari è milionario, si fanno soldi a palate. Nell’Agro aversano pompe funebri e servizio di autoambulanze è per la gran parte nelle loro mani. Non solo appalti per le forniture e lavori. Mensa e servizi fino a qualche anno fa erano un’esclusiva casalese, un pozzo senza fondo che alimentava le casse del clan ed era anche sistema per “gestire il consenso”. La sanità era ed è una ‘preda’ particolarmente amata dalla criminalità organizzata, che la utilizza non solo cercando di controllare gli appalti ma anche “interferendo nelle liste d’attesa”. A mettere in guardia è il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone. La “corruzione è il primo e più profondo attacco all’esistenza stessa del nostro Servizio Sanitario Nazionale”, ha sottolineato il magistrato oggi all’Anticorruzione. E a minacciarlo non sono solo bandi fatti su misura e appalti truccati, ma anche i favoritismi per accedere alle cure. “Camorra, mafia, ‘ndrangheta – ha spiegato – mettono in atto un sistema che permette di favorire i propri affiliati nelle liste d’attesa”. Così facendo “le organizzazioni criminali gestiscono quel consenso indispensabile per tenere sotto controllo la popolazione del territorio di loro interesse”. Ma corruzione in sanità significa anche prezzi troppo alti per gli stessi servizi. Ad esempio per i pasti forniti ai pazienti ricoverati, un capitolo di spesa pari a 738 milioni di euro l’anno. “Analizzando i costi – ha specificato Cantone – è emerso una differenza enorme tra aziende in cui si pagava 7-8 euro per ogni menu giornaliero e aziende in cui se ne pagavano 18-19. Stessi pasti pagati il doppio”. La conseguenza? In Puglia si spendono per la ristorazione 43 milioni annui e se ne potrebbero risparmiare 7, in Piemonte se ne spendono 64 e se ne potrebbero risparmiare 9, in Campania se ne spendono 84, di cui 13 di troppo. In questo delicato contesto le sfide tecnologiche possono essere rischio oltre che risorsa. “L’amministrazione ha pochissime competenze che permettano di strutturare un bando all’altezza dell’esigenze delle moderne e complesse tecnologie mediche, e questo va ad incidere sui problemi come corruzione e sprechi”. Per questo hanno bisogno del supporto di chi ha un preciso know-how. Chi lo può avere se non le mafie? È della settimana scorsa a proposito delle interferenze della criminalità nella sanità l’operazione dell’Antimafia di Napoli che ha indagato a lungo sul clan dei casalesi che gestiva in regime di monopolio il servizio privato di trasporto degenti da e per l’ospedale Moscati di Aversa. Un business interrotto dal blitz della Squadra Mobile di Caserta che ha portato in carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso l’imprenditore, Luigi Belfiore, 62enne titolare della società “Croce Aversana”, e l’esponente del clan, il giovane rampollo 27enne Augusto Bianco, che lo agevolava nella sua attività imprenditoriale, limitando le “mire” delle ditte concorrenti. Non potevano esistere ditte concorrenti. Croce Aversana era l’unica che doveva lavorare. La concorrente “Soccorso Flegreo” di Quarto aveva tentato di insinuarsi periodicamente, ma aveva ben poche speranze. Non aveva spazio, l’Agro aversano è sotto il dominio della fazione riconducibile a Sandokan e sodali, e nessuno può intercedere nello sporco business. Con la forza dell’intimidazione propria dell’associazione casalese, il Belfiore si sentiva al “sicuro” e il solo. L’onorario non ammetteva sconti. La qualità non poteva e non doveva fare la differenza. Era lo stesso titolare, con la complicità dei suoi dipendenti, a “spiare” chi ditta veniva chiamata quando c’era un incidente o un paziente da condurre a casa. Era lui che personalmente si preoccupava di far sparire i bigliettini da visita che le altre ditte appiccicavano alle pareti e nella bacheca dei corridoi dell’ospedale di Aversa. Un monopolio consolidato nel tempo e che è durato almeno fino a tre anni fa. Uno sponsor se è tale deve essere in qualche modo ricompensato. Nelle carte della Magistratura Antimafia napoletana si parla anche di un “dono” fatto recapitare in carcere da parte del Belfiore al padre di Bianco Augusto, Cesare: un paio di scarpe con cui l’imprenditore ha cercato di sdebitarsi per la posizione di monopolio raggiunta nel trasporto dei degenti. La cosa che più rammarica e rimane di stucco è che l’indagine della Polizia di Stato è partita dalle dichiarazioni di alcuni pentiti. Nessuno, compresi i dipendenti pubblici, in particolare alcuni infermieri che secondo gli inquirenti conoscevano come andavano le cose al nosocomio aversano, ha mai segnalato alcunchè, anche in forma anonima, all’autorità giudiziaria o alle forze dell’ordine. Un quadro vergognoso fatto di complicità e silenzi tipici di una terra maledetta che è destinata a rimanere nelle basse classifiche per corruzione e presenza criminale.