L’ex primula rossa Michele Zagaria parla e i palazzi del potere tremano

I colpi di scena nel panorama criminale nostrano non sono cosa da poco. Quando a vuotare il sacco è un personaggio dal calibro di Michele Zagaria, ras indiscusso del clan dei casalesi, significa che la lotta alle mafie sta portando i suoi frutti. Finalmente l’arbitro della contesa tra il Bene e il Male, quella Magistratura che per un trentennio è stata, nella migliore delle ipotesi a guardare, sta portando a casa risultati insperati e successi senza pari. Finalmente! è il caso di gridare a gran voce. Dopo più di 15 anni di latitanza dorata, la primula rossa di Casapesenna alias capastorta, fu assicurato alla Giustizia il 7 dicembre del 2011. E da allora è ristretto in un penitenziario di massima sicurezza al 41 bis, sorvegliato giorno e notte. “Il 41 bis è una condizione di vita disumana” ha gridato in passato in videoconferenza durante un processo. Sì, per chi è stato abituato al comando supremo di un manipolo di delinquenti che ha seminato morte e distruzione e reso una terra floridissima un deserto senza sabbia, il carcere duro gli sta stretto. E anche tanto. Ma zi’ Michele questo lo aveva messo in conto. Sapeva che prima o poi sarebbe finito dai bunker di ultima generazione in una cella con le sbarre di ferro arrugginito. Era ben consapevole che tutto il patrimonio illecito acquisito durante i 15 anni di impero assoluto non lo avrebbe più gestito con le proprie mani. Che fine ha fatto? E per uno come lui che non si è mai fidato di nessuno, tranne che alcune delle sue sorelle, va bene così. Il lupo solitario che è stato lo continua a fare dal carcere. Evita addirittura i colloqui dei famigliari. Trova il modo per come lanciare messaggi, partecipa attivamente alle udienze nei vari processi in cui lo vedono imputato come capoclan dei casalesi. Dalle estorsioni agli omicidi. È stato un vero capo. E da capo vuole finire i suoi giorni da vero uomo d’onore. I regolamenti di conti tra affiliati alla camorra li conosce bene. A febbraio ha parlato, ha voluto regolare alcuni conti in sospeso con il suo vecchio socio d’affari criminali Antonio Iovine, oggi collaboratore di Giustizia. E lo ha fatto con un ispettore della Polizia Penitenziaria del carcere di Opera che ha immediatamente annotato tutto. Per richiamare l’attenzione della guardia ha tentato l’ennesimo suicidio, questa volta con l’accappatoio azzurro legato alle sbarre. Ma evidentemente, l’ultimo tentato suicidio è statp un gesto anticonservativo che punta ad altro. Forse per rendersi ancora protagonista di una trattativa con lo Stato. Non è nuovo a queste pratiche. Durante l’emergenza rifiuti campana, la nostra terra affogava nella monnezza, le sue casse venivano costantemente irrorate da denaro suonante, attraverso migliaia di metri cubi dell’oro grigio che lo aveva reso un uomo potente. Il cemento è stato un vizio di famiglia. Ai tavoli di comando Michele Zagaria si è sempre saputo sedere. Questa volta sta tentando di farlo, forse, per trovare una via di fuga da un sistema che gli sta stretto. Financo la posta con la famiglia gli è stata bloccata: troppi messaggi arrivavano alla famiglia che non tardava ad eseguire gli ordini. “Quando lui era a Casapesenna certe cose non accadevano, nessuno si permetteva di andare a rubare, grazie a lui e agli uomini che obbedivano ai suoi ordini, si potevano lasciare le chiavi al di fuori delle proprie abitazioni, tanto nessun estraneo si sarebbe mai permesso di entrarvi senza permesso”. Il racconto di Zagaria annotato dall’ispettore Pierangelo Lombardi fa accapponare la pelle, rendendo chiaro e palese lo strapotere di un capoclan che ha completamente dominato e soggiogato la vita di tutti: “…si potevano lasciare tranquillamente le chiavi inserite nel cruscotto delle autovetture, tanto nessuno avrebbe mai rubato alcuna autovettura a Casapesenna… grazie a lui e non ai rappresentanti dello Stato”. Se parla Michele Zagaria i Palazzi del potere, i castelli fragili delle nostre Istituzioni, crolleranno. È uno che delle Istituzioni, vicendevolmente, si è sempre servito a tutti i livelli in cambio di protezione. Il principe del Male capastorta, forse, era l’unico che riusciva ad assicurare delle certezze di natura economica e commerciale che oggi nella triste realtà di Gomorra sono più che mai una chimera.