Gaetano Cerci, l’uomo dei traffici di veleni che incontrò Licio Gelli

Squadra e compasso. Grembiulino e affari. Sangue e piombo. La camorra alla fine degli anni ’80 entra nel business puzzolente della monnezza. Miliardi a palate. Qualcuno dice a camionate. Pecunia non olet. Dapprima i titolari di discariche del casertano e del napoletano entrano nello sporco affare. Poi devono ausiliarsi della mano criminale dei camorristi. Faccendieri con giacca, cravatta e le giuste amicizie contrattano con gli industriali del Nord. Ma da soli, gli imprenditori monnezzari non possono accedere dappertutto. Quando si parla di gente di alto rango, dei Gran Maestri, dei Venerabili, i cavaioli in odore di monnezza fanno un passo indietro. Hanno bisogno della mano nera del clan. Ormai gli uomini del vecchio clan Bardellino sono in Versilia a costruire, ponti autostrade, la Tav. Il cemento chiama e Casale risponde subito. Intanto le emergenze rifiuti nel centro e nord Italia incalzano, c’è bisogno di buche disponibili dove sotterrare per sempre il pattume. Dai solidi urbani agli ospedalieri e tossico nocivi. Dapprima i clan napoletani annusano l’affare, poi a ruota i casalesi e i vesuviani. Alla fine degli anni ’80 un giovane geometra poco più che ventenne si affaccia al mondo della libera professione. Il suo nome è sconosciuto alle cronache. Il padre è un imprenditore edile a cottimo. Il ragazzotto incensurato dalla folta chioma è fidanzato con la cugina di Cicciotto e’ mezzanotte. A Francesco Bidognetti non si nega nulla. Quando chiama bisogna mettersi a disposizione. Il giovane Gaetano Cerci vuole mettere su famiglia vorrebbe lavorare onestamente come il padre Umberto gli ha sempre insegnato, la camorra non fa per lui. A quell’epoca si finiva sotto terra o al gabbio molto presto. Cicciotto vuole entrare nel business dei rifiuti. La monnezza è oro. Gaetano costituisce una piccola società di intermediazione con la sede formale in Via De Chirico 1 ad Aversa, una commerciale di interfaccia tra i produttori di pattume e gli smaltitori. La Ecologia 89 in poco tempo acquisisce fette di mercato in tutto lo stivale: è credibile, ha spazio in esclusiva nelle discariche della Campania. Una manna dal cielo per gli industriali del centro nord Italia. Centinaia, migliaia di camionate al mese. Tutti ai suoi piedi: proprietari di discariche nostrani, aziende di intermediazione, camorristi di bassa lega, industriali, colletti bianchi. In pochi mesi, dall’ufficetto operativo di Via Strauss a Casal di Principe, arriva a gestire le fila della gran parte dell’immenso traffico di spazzatura verso la nostra terra. Servono le autorizzazioni, sui giornali si inizia a parlare dei traffici, c’è necessità di mettere le cose a posto. Il sodalizio imprenditorial-criminale si incontra al ristorante La Lanterna sul famoso doppio senso che mena al Lago di Patria. L’operazione portava nelle casse del clan circa 200-300 milioni di lire al mese. Nel ‘90 sancisce a nome dei fratelli casalesi i famosi “Accordi di Villaricca”. Siedono con lui al tavolo, la camorra napoletana, i faccendieri del Nord, la politica e i monnezzari proprietari delle discariche. Serve di più. In Campania c’è spazio nelle discariche. I miliardi non si contano. A febbraio del ’91 il clan, tramite un faccendiere romano, lo fa incontrare a Castiglion Fibocchi, nell’aretino, con il Venerabile Licio Gelli: gli affari sporchi devono passare solo nelle mani di chi gestisce le fila di tutto. Intanto nel ’92 Gaetano e Filomena Iorio convolano a nozze. Il ricevimento sempre presso gli amici de La Lanterna. Quando nascerà la seconda figlia femmina la chiamerà Wanda, come il nome della villa del capo della P2. Fanghi tossico-nocivi delle concerie toscane, fusti tossici degli stoccaggi piemontesi, morchie venete e lombarde, rifiuti ospedalieri pisani, rifiuti solidi urbani toscani, umbri e della cintura romana. Cerci e fratelli non risparmiano niente e nessuno. Il sodalizio ha i giusti agganci nelle istituzioni e con i principali trafficanti di veleni italiani ed internazionali. Agli inizi del ’93 viene arrestato per la prima volta a seguito dell’inchiesta Adelphi: il boss del Rione Traiano Nunzio Perrella racconta ai magistrati della Distrettuale partenopea l’intera filiera dei rifiuti, dalla raccolta ai traffici dei camionisti, arrivando fino ai titolari delle discariche campane. Il povero Gaetano Cerci lo sapeva che prima o poi qualcuno avrebbe raccontato la verità sui traffici di veleni Nord-Sud. Sapeva bene di stare al servizio del cugino della consorte, Francesco Bidognetti. Si scopre che nell’affare tossico alla fine degli anni ’80 prende parte alle spartizioni anche la camorra casalese. In cella a Secondigliano è con Gaetano Vassallo. Sceglie il rito abbreviato, sa dello sconto di un terzo della pena e qualcuno lo avverte che non deve assolutamente fare nomi. In carcere non regge. Chiede l’ausilio di uno psicologo. Nei numerosi colloqui con sua moglie e i suoi familiari fa intendere di voler raccontare tutti ai magistrati e passare dalla parte della giustizia. Il clan non glielo perdonerebbe. E fa un passo indietro. Accetta le dinamiche mafiose. La famiglia subirebbe ritorsioni. Intanto il processo va avanti. Il primo grado a Napoli conferma l’ipotesi della Procura di associazione per delinquere di stampo mafioso. Con Cerci venne condannato un imprenditore edile legato ad Antonio Iovine o’ninno, Francesco Di Puorto residente a Torre del Lago in Lucchesia. Per entrambi una condanna a 3 anni e pochi mesi. In Appello regge l’ipotesi accusatoria, sebbene ridotta a due anni e mezzo. Intanto continua a lavorare su più fronti, quello ecologico e quello delle costruzioni. Sempre legato alla famiglia di riferimento, i Bidognetti. Poi nel corso degli anni gli affari vanno male. Nel mese di luglio scorso Gaetano Cerci è stato condannato assieme al gotha della monnezza: 16 anni per smaltimento illecito e associazione per delinquere. Già dalla fine degli anni ’90 inizia la decadenza del Cerci nazionale. Prima un arresto per estorsione ad un imprenditore di Piedimonte Matese assieme ad un carabiniere. Poi la crisi colpisce tutti. Anche Cerci. La settimana scorsa viene tratto in arresto “per aver partecipato all’associazione e diretto l’attività operativa di altri affiliati addetti alle attività estorsive e recupero crediti, dall’ottobre del 2012 e designato dal capo clan Francesco Bidognetti”. Il capoclan è al 41 bis, servono soldi per la famiglia, i familiari dei detenuti al carcere duro e per gli avvocati difensori. Il Cerci ancora una volta non si è tirato indietro, a Cicciotto non può dire di no, può essere “trait d’union tra la composizione storica del gruppo e quella più recente”. Il litorale domitio, territorio di nessuno dove lo Stato non vuole fare la sua parte, l’area dove poter pretendere soldi indisturbatamente per le casse del clan. Fa quasi sorridere a leggere le comunicazioni ambientali intercettate nelle auto con cui si muovevano Cerci e sodali. Usano un linguaggio criptico nei colloqui. Cerci “capa bianca” vive evidentemente un periodo nero, “domani è il compleanno di mio figlio, devo far prendere una torta a Baia Domitia, non ho nemmeno i soldi per pagare…” e poi “mi sono dovuto far dare 50 euro da mia moglie. Ha detto: “portami il resto (incomprensibile) le scarpe al ragazzo”. Da Gelli alla fame. Al Cerci evidentemente si consiglia di passare dalla parte della giustizia. Ormai non ha più via di scampo. È in pieno tramonto, la luna è all’orizzonte.