Estorceva il pizzo ai pusher, in cella il bidognettiano Gaetano Cerci

Chiedevano il pizzo “classico” ai commercianti ma vista la crisi del clan dei casalesi, ridotto ai minimi termini da arresti e pentimenti, non disdegnavano di farsi pagare dai pusher e dai raccoglitori di pigne. Ciò da quanto emerge dall’ultima indagine della Dda di Napoli sul clan della mafia casertana che oggi ha portato in cella, su ordine del gip Pietro Carola, nove persone. A finire in manette anche i capi del gruppo, Dionigi Pacifico, 53 anni, imparentato con la famiglia camorristica De Falco, e soprattutto il pruripregiudicato Gaetano Cerci, 50 anni, che alcuni anni fa, quando il clan ancora dettava legge, era il punto di riferimento nel lucroso settore dello smaltimento illecito dei rifiuti, una sorta di “vicerè” legatissimo da vincolo di parentela al superboss Francesco Bidognetti, alias Cicciotto e’ mezzanotte. Negli anni ’90 Cerci fu coinvolto in un’indagine sulla loggia massonica P2, poi con il crollo dell’impero casalese è divenuto negli ultimi anni il punto riferimento di un gruppo di estorsori che chiedeva il pizzo a tutti pur di raggranellare qualcosa. Una parabola, quella di Cerci, che ricorda quella del clan che negli anni ’90 arrivo’ ad uccidere un prete, don Peppe Diana, cosi’ come avevano fatto poco prima i potenti Corleonesi, per affermare la propria supremazia sul territorio. La base operativa del gruppo smantellato oggi, e’ emerso, non era a Casal di Principe o sul litorale domizio, altro segno del cambiamento dei tempi, ma a San Nicola la Strada, comune limitrofo al capoluogo Caserta.  da li’ che partivano gli estorsori, meta Castel Volturno sul litorale domizio: il pizzo, che variava tra i 500 e i 1000 euro, veniva richiesto nelle consuete tre scadenze coincidenti con le festivita’ di Natale, Pasqua e Ferragosto. Era di 350 euro invece la quota settimanale che il pusher Fulvio Lama, indagato nell’inchiesta, doveva consegnare agli emissari del clan. Le indagini riguardano fatti abbastanza recenti, fino al Natale 2013. Tra gli imprenditori estorti, nessuno dei quali ha denunciato – determinanti sono state le intercettazioni – compaiono titolari di caseifici e di bar e raccoglitori di pigne. Tre degli indagati rispondono anche del reato di furto in relazioni al raid compiuto in un noto negozio di abbigliamento di Caserta in cui furono portati via il registratore di cassa e numerosi capi. Nell’ordinanza si parla anche di un’attività di “recupero crediti” di alcuni indagati, come quella fatta nei confronti di un militare che aveva contratto debiti di gioco con il gestore di un sala scommesse di San Nicola la Strada.