Aversa, i lavori pubblici li fanno i parenti dei mafiosi

Nella Terra di Gomorra la storia si ripete come altrove. E mai per caso. Le coincidenze non esistono. Gli uomini passano. Le parentele restano. Oggi ci sono sulla scena politico-amministrativa aversana i figli, i nipoti, compari. Certe appartenenze non si rinnegano. Mai. Quando ci fu la posa della prima pietra del mastodontico blocco di cemento del Villaggio Coppola che ha devastato l’intero Litorale Domitio c’era il Vescovo a rappresentanza della Chiesa che andava a braccetto con la politica che contava. Quella delle poltrone ministeriali, dei bottoni, dei compromessi. Quella politica che è stata il mandante morale delle fabbriche di clientele e profitti. Un regime plutocratico di natura ereditaria al gusto di baccalà. La Balena Bianca a partire dal dopoguerra fino a Tangentopoli ha avuto il controllo di tutto. Dagli oratori agli appalti pubblici. A quelli privati. A secondo delle circostanze ha dispensato a destra e a manca posti di lavoro. Anche dove non servivano. Per mere ragioni elettoralistiche. L’importante era avere le mani in pasta. Eppure il disastro è sotto gli occhi di tutti. Per il Mezzogiorno depresso avevano creato un ministero ad hoc che rimpinguava di flussi finanziari le casse familiari dei vassalli locali evidentemente impegnate a creare castelli industriali nel deserto, facendo emergere l’eversiva malavita locale che intanto si strutturava in esercito del male. Quando si è trattato di compromettersi con i poteri occulti certa politica casertana non ha fatto un passo indietro. Anzi si è seduta sempre. Altro che trattativa Stato-Mafia. Nella nostra maledetta terra ha radici lontane. Il potere politico locale ha sempre mercanteggiato con chi realmente aveva il controllo del territorio, con la coppola o il trincetto o la lupara ovviamente. Poi dal dopo Moro in poi la selezione della classe dirigente spettava alle mafie. In una perfetta simbiosi osmotica, si “sceglievano” gli uomini giusti al posto giusto, dai sindaci ai parlamentari, ai ministri e sottosegretari. Oggi le cose sono cambiate. In peggio. Oggi al tavolo delle trattative si siedono solo colletti bianchi. Tutti professori e professionisti degli appalti. Anche lo scudo crociato o il sole nascente non ci sono più. Tutto si è trasformato. Come camaleonti si sono mimetizzati e hanno cambiato pelle. I giannizzeri quelli sì, sempre presenti. Quelli di contorno. Quelli che un tempo erano al servizio dei potentati casertani oggi sono sulla scena. Oggi hanno preso il potere. Oggi hanno l’ardire di rappresentare il popolo sovrano. Nel nome di chissà quale prerogativa. Quasi come dei piccoli Re Sole issati a governanti si dimenano a mandare avanti una macchina amministrativa dalle casse vuote. Beh, i soldi pur dovevano finire. E menomale forse è il caso di ammettere. Eppure quando si tratta di inaugurare un cantiere di una nuova opera pubblica sono lì. Senza batter ciglio. I soliti noti. Meno male sempre gli stessi. Un tempo si andava a mangiare succulenti pranzi a base di fritto di anguilla dei lagni e ostriche dopo la posa della prima pietra. Oggi basta una bottiglia di champagne o spumante. E il rito è compiuto. Finalmente dopo quasi un lustro di battaglie e iter burocratici e migliaia di carte e ricorsi amministrativi-giudiziari sono partiti i “Lavori di recupero dei Sagrati delle chiese del centro storico Comune di Aversa”. Un appaltuccio dal valore di circa tre milioni di euro. La società cooperativa Lira Gestione Immobiliare e Michele Russo soprattutto è riuscito a vincere la battaglia. L’ha spuntata su tutti. È uno temerario Michelino Russo. Una baldanzosa sicumera lo accompagna nelle sue mirabolanti e più che mai stravaganti avventure affaristiche. Uno che non ha bisogno di presentazioni. Un imprenditore dell’oro grigio molto noto nell’Agro aversano. Ad Aversa e Trentola-Ducenta in particolare. E non solo. Alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli lo conoscono bene. In qualche verbale ammette di conoscerlo notevolmente anche il collaboratore di Giustizia Antonio Iovine che bene fece quando pensò di “convocare il Russo” per l’affare dell’area Pip alla periferia di Aversa. Russo conosce bene la famiglia Iovine. Suo cugino ventiquattrenne, omonimo, fu sparato in faccia a colpi di lupara nel luglio di 30 anni fa. Aveva un piede nella mafia e uno nell’imprenditoria, era titolare di un negozietto di scarpe nella natia San Cipriano d’Aversa. Era rimasto fedele a Mario Iovine “boss” emergente della Nuova Famiglia ed ex braccio destro di Antonio Bardellino. Quando finì sotto il piombo casalese in Portogallo Mario Iovine erano in parecchi a piangersi il morto nel cimitero di Casale. Ma questa è storia.